mercoledì 22 aprile 2015

SE IL MEDICO DI FAMIGLIA SBAGLIA, PAGA ANCHE L'ASL


Ho appena finito di esaminare la meritevole pronuncia, emessa dalla terza sezione civile della Suprema Corte, in tema di responsabilità medica, di cui tanto si è parlato nelle ultime settimane e che merita indubbiamente attenzione. Devo dire che in barba ai recenti, isolati e inopportuni tentativi di scardinare l’attuale sistema risarcitorio (mi riferisco, naturalmente, alla nota sentenza del giudice meneghino, Patrizio Gattari, che ha impropriamente inquadrato la natura della responsabilità del medico nell’ambito degli illeciti extracontrattuali, con negative ripercussioni sulla tutela dei danneggiati), che individua correttamente la natura della responsabilità dei sanitari nel noto criterio del “contatto sociale”, la decisione in questione non solo ha il merito di riconfermare tale principio ma ha inoltre fatto chiarezza su un altro importante capitolo di questa complicata materia. Finalmente i giudici, con ammirevole processo logico e interpretativo, hanno affermato la regola in base alla quale l’Azienda Sanitaria Locale (ASL), cui spetta il compito di erogare ai cittadini i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), è responsabile unitamente al medico generalista, vale a dire quello che comunemente chiamiamo “di famiglia”, per gli errori professionali commessi da quest’ultimo. Ma i passaggi logici che devono essere portati all’attenzione di tutti, sono molteplici…

SECONDO I GIUDICI DELL’APPELLO L’ASL NON HA RESPONSABILITÀ I giudici della Corte D’Appello di Torino, ribaltando la pronuncia del magistrato di prime cure, avevano ritenuto che l’ASL non fosse responsabile insieme al medico di famiglia per l’errore professionale commesso da quest’ultimo. Tale assunto si fondava sulla circostanza per la quale tra ASL e paziente non si instaura un contratto dal momento che la prestazione viene domandata al medico di base. Inoltre, a giudizio dei magistrati torinesi, non si crea un contatto sociale dal momento che l’ASL non è neppure a conoscenza della richiesta di prestazioni effettuata dal paziente e rivolta unicamente al medico generico. Né ancora si può far ricorso al principio, contenuto nell’art. 2049 del codice civile, per il quale l’ASL risponderebbe per i fatti commessi dal medico convenzionato essendo un preposto della stessa, ciò in quanto quest’ultimo è un libero professionista del tutto autonomo, scelto dal paziente in piena libertà, sul quale la stessa ASL non esercita alcun potere di vigilanza, controllo o direzione. Né, infine, si può fare ricorso al rapporto di immedesimazione organica poiché il medico di base non è dipendente della ASL, né è chiamato a estrinsecare all’esterno la volontà dell’ente o è soggetto a direttive nell’ambito della sua peculiare attività professionale. L’inserimento del medico di base nell’organizzazione territoriale della ASL si esaurisce, dunque, sul piano organizzativo-amministrativo, ma non tocca “certamente il contenuto squisitamente professionale della prestazione del medico di base”, che non viene sindacata dalla stessa ASL, non essendovi alcuna norma che attribuisce a quest’ultima “un potere di vigilanza e controllo sul contenuto specifico della prestazione professionale medica del medico di base” (così anche Cassazione penale, Sezione IV, Sentenza del 23 settembre 2008, n. 36502; Cassazione penale, Sezione IV, Sentenza del 16 aprile 2003, n. 34460).

LA CASSAZIONE RIBALTA TALE APPROCCIO Dopo aver esaminato il quesito posto dai ricorrenti, vale a dire i parenti della vittima, i giudici di legittimità hanno totalmente accolto la tesi difensiva di questi ultimi ed hanno, quindi, stabilito che l’ASL è responsabile civilmente, ai sensi dell’art. 1228 del codice civile, del fatto illecito che il medico, con essa convenzionato per l’assistenza medico-generica, abbia commesso in esecuzione della prestazione curativa, ove resa nei limiti in cui la stessa è assicurata e garantita dal S.S.N. in base ai livelli stabiliti secondo la legge. In altre parole, i giudici della Suprema Corte, partendo da un’attenta e rigorosa analisi della legislazione posta alla base dell’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.), esercitato proprio dalle ASL (vecchie U.S.L., Unità Sanitarie Locali), precisano con chiarezza esemplare che le prestazioni curative effettuate dal medico di base in convenzione non sono altro che l’espressione di quel dovere di assistenza, disciplinato dall’ordinamento giuridico, che la ASL fornisce attraverso i propri dipendenti oppure attraverso i medici parasubordinati, vale a dire quelli convenzionati proprio in virtù di una convenzione. A differenza del libero professionista, dunque, il medico convenzionato non viene direttamente retribuito dal cliente-paziente ma dalla ASL che detiene appositi elenchi che il cittadino consulta per la scelta del medico di fiducia. Una volta che l’utente abbia dichiarato la propria preferenza, il medico convenzionato prescelto non può rifiutare la prestazione sanitaria. In sintesi, dunque, la sentenza in esame ha ridefinito totalmente i rapporti tra sistema sanitario e medico di famiglia ritenuto, sino a quel momento, niente di più che un libero professionista esclusivamente responsabile per gli errori commessi durante l’esercizio della propria attività professionale.

LA LEGGE ISTITUTIVA DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE TUTELA LA SALUTE La Legge n. 833 del 23 dicembre 1978 rappresenta l’attuazione concreta del principio contenuto nell’art. 32 della costituzione che espressamente tutela la salute della persona attraverso la previsione di un sistema, ispirato al principio della partecipazione democratica all’attuazione dello stesso Servizio Sanitario (art. 1, comma terzo), di tutela indifferenziata (artt. 1 e 3) e globale (art. 2), anche tramite l’individuazione e la fissazione, in sede di approvazione del Piano Sanitario Nazionale (art. 53), dei “livelli delle prestazioni sanitarie che devono essere, comunque, garantite a tutti i cittadini” (art. 3).

LA PRESTAZIONE CURATIVA È UN OBBLIGO DI LEGGE A CARICO DELL’ASL Nell’elenco delle prestazioni “curative” la Legge n. 833 del 1978 include proprio l’assistenza medico-generica prestata ai cittadini, quali utenti del S.S.N., attraverso le U.S.L. (ora A.S.L.) sia in forma ambulatoriale sia in forma domiciliare assicurando i livelli di prestazioni stabiliti dal Piano Sanitario Nazionale. Tale prestazione curativa viene di fatto erogata attraverso personale dipendente del servizio pubblico (laddove le A.S.L. prevedano tale modulo organizzativo) oppure tramite il medico convenzionato operante nel Comune di residenza dell’utente scelto tra quelli inseriti in apposito elenco. La preferenza viene, quindi, manifestata nei confronti della A.S.L. e produce i suoi effetti nei riguardi di quest’ultima e non del medico scelto in virtù del rapporto di convenzionamento con la medesima azienda sanitaria locale. Del pari l’utente può rinunciare alla scelta operata, ma sempre nei confronti dell’A.S.L., così come il medico può ricusare l’utente, motivando tale atto, che resta comunque sindacabile da parte dell’azienda. In ogni caso il medico convenzionato non può in alcun modo rifiutare la prestazione curativa di medicina generica proprio in virtù del convenzionamento. Tale sistema non è cambiato a seguito delle riforme intervenute nel 1992 e, quindi, l’utente non ha alcun obbligo remunerativo nei riguardi del medico di fiducia il quale viene appunto remunerato dalla ASL.

IL MEDICO CONVENZIONATO È UN PARASUBORDINATO Il rapporto di convenzionamento da luogo non già ad un rapporto di lavoro subordinato (e, dunque, di pubblico impiego), bensì ad un rapporto di lavoro autonomo “parasubordinato” (e, dunque, di “prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale”, ai sensi dell’art. 409 del codice di procedura civile, comma 1, n. 3), trattandosi, dunque, di un rapporto professionale che si svolge, di norma, su un piano di parità, sebbene sia comunque costituito “in vista dello scopo di soddisfare le finalità istituzionali del servizio sanitario nazionale, dirette a tutelare la salute pubblica” (così, tra le tante, Cassazione civile, Sezione Lavoro, Sentenza del 13 aprile 2011, n. 8457).

I CITTADINI FINANZIANO IL FONDO SANITARIO CON LE IMPOSTE L’assistenza medico-generica in quanto prestazione curativa, assicurata e garantita dal S.S.N., secondo livelli definiti dal Piano Sanitario Nazionale, rinviene le risorse finanziarie necessarie dal “fondo sanitario nazionale” alimentato da un contributo dei cittadini che la giurisprudenza ritiene essere di natura tributaria, quale imposta (e non già tassa per la fruizione di un servizio), con destinazione del relativo gettito alla copertura di spese pubbliche, nonché riconducibile, quale sovraimposta IRPEF, alle imposte sui redditi, ai sensi del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, art. 2 (Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza del 6 febbraio 2009, n. 2871).

QUAL È LA NATURA DI TALE OBBLIGAZIONE? La natura dell’obbligazione che grava sulla A.S.L. di rendere la prestazione curativa medico-generica non deriva, quindi, né da un contratto né da un fatto illecito ma, come stabilito dall’art. 1173 del codice civile, da ogni “altro atto o fatto idoneo a produrla in conformità dell’ordinamento giuridico”. La disciplina applicabile è dunque quella delle obbligazioni in generale e cioè quella dettata dagli articoli 1173 e seguenti del codice civile. Peraltro con riguardo agli effetti ultimi si tratterà di obbligazione contrattuale e di conseguenza, segnatamente nella sua fase patologica si applicheranno le norme contenute negli articoli 1218 e seguenti del codice civile. In altri termini il cittadino-utente assume la veste di creditore nei confronti della A.S.L. che essendo tenuta ad erogare la prestazione curativa per conto del S.S.N. assume la veste di debitore. La responsabilità di chi si avvale dell’esplicazione dell’attività del terzo per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale trova allora radice non già in una colpa in eligendo degli ausiliari o in vigilando circa il loro operato, bensì nel rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento dell’obbligazione, sul principio “cuius commoda, cuius et incommoda”, o, più precisamente, dell’appropriazione o “avvalimento” dell’attività altrui per l’adempimento della propria obbligazione, comportante l’assunzione del rischio per i danni che al creditore ne derivino (così Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 6 giugno 2014, n. 12833).

IL MEDICO DI FAMIGLIA È SOLO UN AUSILIARIO Il medico generico convenzionato è ausiliario della A.S.L. quanto all’adempimento da parte di quest’ultima, dell’obbligazione ex lege di prestare assistenza medico- generica all’utente iscritto negli elenchi del S.S.N.. Il medico convenzionato non è, infatti, parte di detto rapporto giuridico obbligatorio, di durata, ma interviene nella fase del suo svolgimento, per rendere la prestazione curativa che la USL è tenuta per legge ad erogare secondo livelli prestabiliti normativamente. E l’adempimento dovrà avvenire nell’ambito di tale predeterminata prestazione, come tale soggetto al controllo della stessa ASL rimanendo la prestazione medesima, ovviamente, libera nei contenuti tecnici-professionali suoi propri (come, del resto, lo è in tutti i casi in cui essa viene prestata, sia in regime di subordinazione, che libero professionale), in quanto espressione di opera intellettuale a carattere scientifico, oggetto di protezione legale (art. 2229 del codice civile).


MA RESTA OBBLIGATO ANCH’EGLI VERSO IL PAZIENTE PER IL CONTATTO SOCIALE Con riguardo alla natura della responsabilità del medico convenzionato nei confronti dell’utente con il quale non sussiste alcun vincolo negoziale od obbligatorio, ex lege preesistente all’espletamento in concreto della prestazione curativa, è sufficiente osservare che essa è da ricondursi al “contatto sociale”, tenuto conto dell’affidamento che egli crea per essere stato prescelto per rendere l’assistenza sanitaria dovuta e sulla base di una professione protetta. La sua prestazione (e per l’effetto il contenuto della sua responsabilità) per quanto non derivante da contratto, ma da altra fonte (art. 1173 cod. civ.), ha un contenuto contrattuale.

Avv. Patrizia Comite - Studio Comite