venerdì 27 marzo 2015

GIÙ LE MANI DAL CELLULARE, LA PROVA DEL TRADIMENTO NON È “FAI DA TE”


Sottrarre in modo violento il telefonino a mogli mariti o fidanzati per acquisire la prova del loro tradimento, attraverso gli sms inviati all’amante, costituisce condotta contraria alla legge che i giudici possono configurare come rapina. Questo è quanto hanno deciso qualche giorno fa i giudici della Suprema Corte penale che hanno confermato la legittimità dei provvedimenti di condanna, assunti dai giudici del merito, nei confronti di un giovane barlettano il quale si era introdotto nell’appartamento della fidanzata e, strattonandola, le aveva sottratto il cellulare. Il giovane si era giustificato evidenziando alle autorità che il suo gesto non era finalizzato all’appropriazione del telefonino tout court ma solo a trattenerlo il tempo necessario a mostrare all’ex suocero il contenuto degli sms amorosi rivolti al nuovo partner. Insomma un giovane uomo tradito che mirava semplicemente a far sapere al padre della ex che la figliola non era esattamente una santarellina. Eppure, i giudici hanno ritenuto che tale condotta fosse illegittima e violasse addirittura alcuni principi di rango costituzionale. Vediamo perché … 

IL FATTO Devo dire che appena ho appreso la curiosa notizia ho pensato che la decisione fosse piuttosto singolare ed eccessivamente severa. In realtà, dopo aver letto con attenzione il testo della sentenza mi sono resa conto che i criteri utilizzati sono coerenti sia con riguardo ai precedenti giurisprudenziali sia in relazione a quanto la legge stabilisce perché si configuri il reato di rapina (art. 628 del codice penale), sia infine rispetto ad alcuni principi costituzionali. In breve, Pasquale C., 24enne barlettano, dopo aver acquisito la convinzione che la fidanzata volesse lasciarlo per un altro uomo, decide di recarsi a casa di quest’ultima ed entrando in modo forzato la strattona con l’intento di impossessarsi del suo cellulare per verificare la presenza sul suo telefono cellulare di sms compromettenti che avrebbero confermato i suoi sospetti di tradimento. Al sanguigno giovane tale sconsiderata condotta è costata decisamente cara! Il Tribunale di Barletta, infatti, con decisione assunta il 16 ottobre del 2006, lo ha condannato per tentata violenza privata, violazione di domicilio con lesioni personali e, dulcis in fundo, per rapina. L’uomo non se ne fa una ragione. Tenta l’impugnativa ma, anche in secondo grado, le sue motivazioni non vengono considerate una causa di giustificazione e, quindi, la condanna per rapina viene confermata fino alla Cassazione.

IL GIOVANE SI GIUSTIFICA COSÌ… La difesa del giovane Pasquale C. si fonda sull’assenza del carattere dell’ingiustizia nella condotta tenuta in quanto finalizzata unicamente a provare di aver subito il tradimento dell’ex fidanzata e quindi un pregiudizio di carattere morale. Il 24enne riconosce, dunque, di aver sottratto il cellulare dell’ex fidanzata per ottenere un’utilità non patrimoniale, vale a dire morale, ma contesta il carattere ingiusto di tale utilità. Ciò significa che, a suo avviso, quello che aveva fatto era legittimo perché l’intento era buono. Il suo fine, racconta, non era ottenere un profitto appropriandosi del telefonino, ma semplicemente quello di far vedere al padre della ex i messaggini che provavano la relazione sentimentale parallela e dimostrare così che la figliola, poco onesta, aveva tenuto un comportamento scorretto. Insomma, poveretto, cercava almeno il conforto del padre della ex sperando, forse, che costui, maschio anch’egli, sostenesse il suo orgoglio ferito attraverso il severo rimprovero paterno. 

MA PER I GIUDICI IL FATTO COMMESSO È REATO! I giudici della Suprema Corte non possono accettare le motivazioni del giovane e ritengono, quindi, legittima la condanna per rapina comminata dai giudici di primo e secondo grado. Nello specifico, gli ermellini ritengono che la tesi prospettata dall’imputato non può in alcun modo essere accolta perché l’assunzione della prova adulterina è avvenuta con modalità assolutamente illecite e offensive di valori tutelati dall’articolo 2 della costituzione, come il diritto all’autodeterminazione e il diritto alla riservatezza. Ritengono, inoltre, che sussista anche il requisito dell’utilità dell’ingiusto profitto poiché tale utilità può essere conseguita non solo attraverso vantaggi di carattere patrimoniale (l’appropriazione del bene oggetto della rapina) ma altresì non patrimoniale, vale a dire morale. Nel caso in questione l’utilità morale che il giovane intendeva conseguire era quella di provare di aver subito il tradimento. La Corte sottolinea, quindi, che il profitto previsto nel reato di rapina può concretarsi in qualsiasi utilità, anche solo morale (Cassazione penale, Sezione II, Sentenza del 19 marzo 2015, n. 11467). 

RISERVATEZZA E AUTODETERMINAZIONE: DUE VALORI DA DIFENDERE... I giudici della Suprema Corte sottolineano che violando il diritto alla riservatezza si tende a comprimere il diritto all’autodeterminazione e ricordano che “l’instaurazione di una relazione sentimentale fra due persone appartiene alla sfera della libertà e rientra nel diritto inviolabile all’autodeterminazione fondato sull’articolo 2 della Costituzione, dal momento che non può darsi una piena ed effettiva garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo (e della donna) senza che sia rispettata la sua libertà di autodeterminazione”. In altre parole, la fidanzata di Pasquale C. era libera di relazionarsi sentimentalmente con chi le pareva poiché la libertà di autodeterminarsi nella sfera sessuale comporta la libertà di iniziare e finire relazioni sentimentali e nessuno può avanzare la pretesa di perquisire i cellulari altrui per rinvenire le prove di vecchi e nuovi legami amorosi.

…SPECIALMENTE NELLE COPPIE DI FATTO Il principio di autodeterminazione vale ancor di più per le coppie di fatto o per quelle che pur vivendo una relazione stabile non convivano sotto lo stesso tetto. In tali casi il tradimento è del tutto lecito e deve escludersi qualsiasi forma di risarcimento del danno poiché non vi è violazione dell’obbligo di fedeltà che è un connotato tipico ed esclusivo, legislativamente riconosciuto, dei vincoli coniugali. Per dirla in altre parole, il tradimento in tali casi rientrerebbe tra le libertà inviolabili dell’individuo essendo espressione del principio di autodeterminazione, anche in presenza di un rapporto sentimentale con un’altra persona.


L’ACQUISIZIONE LEGITTIMA DELLE PROVE L’argomento che ho affrontato mi offre lo spunto per ricordare che l’unico modo per acquisire in modo legittimo i contenuti dello smartphone di mogli e mariti fedifraghi è quello di rivolgere al giudice una richiesta formale quale potrebbe essere, per esempio, quella di sequestro probatorio. Il cellulare, infatti, è ormai un vero e proprio contenitore di informazioni e strumento indispensabile allo svolgimento della routine quotidiana. Quando si entra in possesso del telefonino altrui si violano i contenuti di tale routine (chiacchiere, foto, sms…) e quindi si entra in un ambito assolutamente privato e riservato. Se non si vuole incorrere in una violazione più grande di quella che potrebbe rivelare il cellulare occorre, dunque, rispettare le modalità che la legge prescrive e riservare al vaglio dell’autorità giudiziaria l’opportunità di soddisfare interessi superiori rispetto a quello della riservatezza.

Avvocato Patrizia Comite - Studio Comite