lunedì 16 febbraio 2015

CONDOMINIO: GARANTITO SE I LAVORI SONO ESEGUITI MALE MA…


Nei precedenti post ho spiegato cosa debba intendersi con l’espressione lavori straordinari, distinguendo tra quelli definiti straordinari tout court e quelli invece considerati di notevole entità. Nel fare, poi, un breve excursus sulle fasi salienti dell’appalto, ho cercato di approfondire un momento essenziale del contratto ovvero l’accettazione dell’opera eseguita. Oggi mi ripropongo, invece, di fornire alcune utili informazioni sui rimedi offerti dalla legge nell’ipotesi in cui, dopo l’ultimazione dei lavori straordinari, le cose non vanno come ci si auspica, affrontando, quindi, il tema delle garanzie. Infatti, tra le molteplici cause che danno origine a vertenze e controversie che coinvolgono il condominio una sicuramente la fa da padrona e riguarda il contenzioso generato dalla difformità del lavoro svolto, rispetto a quanto richiesto, o dai vizi (ovvero difetti) che l’opera appaltata spesso presenta. La disciplina relativa alle garanzie prestate dall’ordinamento è contenuta negli articoli 1667 e 1669 del codice civile e, benché in apparenza il tenore letterale di queste norme sia chiaro, la loro esatta applicazione ai casi concreti ha reso necessaria una produzione copiosa di pronunce giurisprudenziali interpretative finalizzate a chiarire limiti ed estensioni delle garanzie medesime. Vediamole...

DIFFORMITÀ E VIZI DELL’OPERA, CHE COSA SONO? Comincerò quindi a citare l’art. 1667 del codice civile che, al primo comma, stabilisce “L’appaltatore è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell’opera. La garanzia non è dovuta se il committente ha accettato l’opera e le difformità o i vizi erano da lui conosciuti o erano riconoscibili, purché, in questo caso, non siano stati in malafede taciuti dall’appaltatore". Premetto che il significato del termine riconoscibilità, enunciato nella norma, è fluido vale a dire che non corrisponde ad un senso univoco quando se ne fa applicazione nei casi concreti. Il criterio interpretativo da adottare è, dunque, quello fornito dall’art. 1176 del codice civile che fa riferimento alla diligenza del buon padre di famiglia. Saranno quindi ritenuti difformità e vizi riconoscibili quelli di cui il committente può prenderne coscienza utilizzando una normale e comune attenzione. A sua volta si può parlare di difformità ogni volta che l’opera sia stata eseguita ma presenti una o più differenze rispetto a quanto previsto nel contratto ovvero una sostanziale diversità tra come i lavori sono stati effettuati e come, invece, sarebbero dovuti risultare seguendo i criteri e le previsioni contrattuali originarie inseriti nel progetto o stipulati successivamente come varianti in corso d’opera. Si deve parlare invece di difetti o vizi quando l’esecuzione dell’opera (o parte di essa) sia stata eseguita non a regola d’arte e, pertanto, risulta priva delle qualità che l’opera stessa deve possedere secondo gli standard tecnico-applicativi normalmente utilizzati e seguiti. 

NON TUTTI I VIZI SONO GARANTITI La garanzia offerta al committente dall’art. 1667 riguarda solo le difformità ed i vizi occulti ovvero quelli che si sono manifestati successivamente alla consegna dei lavori e che non potevano essere accertati in sede di verifica dell’opera. Infatti se l’opera è stata accettata e i vizi o i difetti erano noti al committente o facilmente riconoscibili la garanzia non è operativa. In altre parole la garanzia non può essere fatta valere in tutti i casi in cui i vizi e le difformità erano visibili (o palesi) usando l’ordinaria diligenza in relazione alla natura ed alla complessità dei lavori stessi. Esclusi dalla garanzia prevista dall’art. 1667 del codice civile sono anche i vizi riconosciuti ovvero tutte quelle imperfezioni dell’opera di cui il committente era già venuto a conoscenza o in qualsiasi altro modo era stato informato sulla loro esistenza. La garanzia è, invece, sempre operante in tutti i casi in cui l’appaltatore ha taciuto dolosamente l’esistenza dei vizi e dei difetti cercando di occultarli in fase di collaudo e di verifica dell’opera oppure si è comportato con malafede durante l’esecuzione del contratto. 

ATTENZIONE AI TERMINI! La legge prevede un onere a carico del committente, vale a dire quello di denunciare le difformità, rispetto al progetto o al contratto, e i vizi all’appaltatore entro sessanta giorni dalla scoperta e ciò a pena di decadenza. Spirato questo termine il committente non potrà più avvalersi della garanzia. Più precisamente la decadenza (da non confondere con la prescrizione) consiste nella preclusione dell’esercizio di un diritto da parte del titolare, sia che inerisca a un diritto potestativo, sia che inerisca a un diritto facoltativo. Si tratta cioè della perdita della possibilità di esercitare un diritto per il mancato compimento di un’attività o di un determinato atto, nei termini previsti dalla legge. La sua funzione è limitare i tempi di incertezza delle situazioni giuridiche. Per impedire la decadenza occorre quindi che ricorrano alternativamente una delle due condizioni: 

a) il compimento di uno specifico atto prescritto dalla legge o dal negozio giuridico (in questo caso la denuncia dei vizi)

b) il riconoscimento del diritto da parte del soggetto contro il quale il medesimo diritto può farsi valere. 

L’art. 1667, 2° comma, dispone infatti che: “la denunzia non è necessaria se l’appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi o se li ha occultati”. È, dunque, onere del committente, allorché l’appaltatore abbia eccepito la sua decadenza dalla garanzia, provare di aver tempestivamente denunciato tali vizi, costituendo tale denuncia una condizione su cui si fonda l’azione giudiziale. Quanto invece al riconoscimento dell’esistenza dei vizi da parte dell’appaltatore, non sono necessarie forme particolari, in quanto tale ammissione può manifestarsi anche per fatti concludenti, ossia attraverso comportamenti dell’appaltatore incompatibili con la volontà di avvalersi di tale decadenza. Sul punto, come ha avuto modo di osservare recentemente la Suprema Corte “…in tema di appalto, il riconoscimento da parte dell’appaltatore dei vizi e delle difformità dell'opera, agli effetti dell’art. 1667, secondo comma, c.c., non richiede la confessione giudiziale o stragiudiziale della sua responsabilità, né formule sacramentali e può, pertanto, manifestarsi per fatti concludenti, essendo sufficiente, affinché l’eccezione di decadenza del committente dalla garanzia per vizi possa ritenersi rinunciata e preclusa, che l’appaltatore abbia tenuto, nel corso del giudizio di primo grado, un comportamento incompatibile con la volontà di avvalersi di detta decadenza” (Cassazione civile, Sezione II, Sentenza del 5 febbraio 2013, n. 2733). 

ANCHE LA PRESCRIZIONE È BREVE Per far valere i propri diritti il condominio committente dovrà essere attento a non fare decorrere i termini poiché l’azione contro l’impresa appaltatrice si prescrive in due anni dal giorno della consegna dell’opera e, decorso tale termine, l’appaltatore non potrà più essere chiamato a rispondere delle difformità e dei vizi che inficiano la qualità dei lavori eseguiti. Bisogna inoltre dire che la denuncia non deve sottostare, per essere valida, a nessuna forma sacramentale ma è altrettanto chiaro che la forma scritta è sicuramente la più idonea a provare il rispetto dei termini di decadenza e di prescrizione previsti dalla legge. La prova di aver rispettato detti termini incombe infatti sul committente. Poiché è facile cadere in errore mi sembra importante sottolineare che ai fini probatori non sarà pertanto sufficiente avanzare contestazioni verbali o telefoniche che non lasciano traccia del loro contenuto. Allo stesso modo una pronuncia fatta in sede assembleare e verbalizzata con cui si segnala e si evidenzia l’esistenza di vizi non vale quale denuncia formale. Infatti, questa segnalazione anche se sedimentata in un verbale assembleare dovrà comunque essere portata a conoscenza, per mezzo dell’amministratore e secondo diligenza professionale, dell’impresa appaltatrice nel rispetto dei termini sopra visti.

ESSERE PRECISI CONVIENE Se, come si è visto, lo scopo della denuncia è quello di rendere edotto l’appaltatore dell’esistenza e dell’entità dei vizi lamentati e delle difformità rilevate, il suo contenuto dovrà essere il più preciso possibile e per questo suggerisco di redigere un elenco completo e dettagliato dei vizi e dei difetti lamentati dei lavori tenuto conto dei criteri di esecuzione e degli standard qualitativi richiesti dal contratto di appalto. Una denuncia generica che non eccepisca fatti concreti riferibili alla sussistenza di difformità e vizi dell’opera potrebbe infatti non essere ritenuta valida in sede giudiziale quale denuncia formale ai sensi dell’art. 1667. Occorre, peraltro, precisare che il termine di sessanta giorni per la denuncia, previsto a pena di decadenza, non subisce e non può subire né sospensioni né interruzioni e, quindi, se non viene rispettato il Condominio perde il diritto di agire in giudizio contro l’appaltatore, nel caso in cui quest’ultimo non adempia spontaneamente ad eliminare vizi o difformità dell’opera. Ma cosa accade se la denuncia è stata formalizzata entro il termine previsto ma l’impresa fa orecchi da mercante? 

SI VA DAVANTI AL GIUDICE, MA A CHIEDERE COSA? Se la denuncia non sortisce l’esito sperato ovvero se l’appaltatore, nonostante la denuncia del committente non intende adoperarsi per porre rimedio ai vizi oppure nega che questi esistano ritenendo di avere eseguito i lavori secondo la regola dell’arte al committente non resta che citarlo in giudizio per far valere i propri diritti. Il committente in verità, azionando questo tipo di garanzia, può richiedere al giudice più provvedimenti alternativi tra loro scegliendo quello che meglio si presta a tutelare la sua posizione in relazione ai danni subiti ed in particolare:

1) Può richiedere che l’appaltatore provveda a sue spese all’eliminazione delle difformità dei vizi di cui è affetta l’opera (obbligazione di facere);

2) In via diversa può richiedere la riduzione del prezzo in misura proporzionale alla diminuzione del valore dell’opera in quanto affetta da vizi e il risarcimento del danno quando viene provata la colpa dell’appaltatore;

3) Infine può optare per la richiesta di risoluzione del contratto. Tale ipotesi solitamente riguarda i casi in cui le difformità ed i vizi sono talmente importanti tali da rendere l’opera del tutto inadeguata o inadatta alla sua destinazione (art. 1668 del codice civile). 

UNA PRECISAZIONE Nel primo caso si tratta dell’azione per l’esatto adempimento e comporta per l’appaltatore l’obbligo di eseguire tutte le attività o i lavori di riparazione, rifacimento, correzione delle opere già consegnate eliminando i difetti e i vizi delle stesse senza avere diritto ad alcun compenso aggiuntivo rispetto a quello pattuito nel contratto. Se l’appaltatore si rifiuta di eseguirle il committente avrà la possibilità di richiedere l’esecuzione forzata dell’obbligo di fare tutto ciò che risulti necessario al ripristino. Nella seconda ipotesi, tesa a ridurre il prezzo pattuito, si deve procedere ad un’analisi comparativa tra il valore ed il rendimento dell’opera (ovvero l’idoneità ad assicurare la funzionalità e lo scopo per i quali i lavori sono stati commissionati) così come era stata progettata e pattuita con quelli invece dell’opera realizzata che presenta vizi o difformità. La differenza determinata sulla base della stima di valore tra come l’opera doveva essere ed invece come si presenta, costituisce il rapporto che in misura percentuale determina la richiesta di diminuzione del prezzo. Questo rimedio è sicuramente applicabile in tutti i casi in cui i lavori effettuati siano affetti da un vizio il quale, intrinsecamente, ne diminuisca il valore e la loro funzionalità o godimento. In via diversa, quando l’opera presenti difformità rispetto al progetto o alle prescrizioni contrattuali (si pensi per esempio ad una diversa qualità dei materiali usati) la riduzione del prezzo risulta subordinata alla prova che, ricordiamo, deve essere fornita dal committente (onus probandi), di un minor valore economico dell’opera. 

IL RISARCIMENTO È SEMPRE POSSIBILE Bisogna tuttavia sottolineare che non sempre l’eliminazione del vizio o la riduzione del prezzo rappresentano una soluzione del problema essendo da soli inidonei a riparare o compensare il pregiudizio sofferto dal committente. La mancata osservanza delle prescrizioni contrattuali può non essere rimediabile con interventi riparativi successivi alla consegna o alla conclusione dell’opera oppure la necessità di intervenire nuovamente sull’opera stessa può comportare ritardi o disagi anche gravi al godimento del bene o della cosa (si pensi ai difetti nell’esecuzione di opere di rifacimento o di nuova installazione di un ascensore) oppure, ancora, i vizi dell’opera possono aver provocato danni a persone o cose. Per dare risposta a tali inconvenienti viene in aiuto l’art. 1668 del codice civile che, oltre alla previsione della diminuzione del prezzo in misura proporzionale, fa salvo, nei casi di colpa dell’appaltatore, il diritto del committente a richiedere il risarcimento del danno. Lo stesso articolo, al comma 2, introduce il contenuto della terza ipotesi di azione, sopra richiamata, disponendo che: “se però le difformità o i vizi dell’opera sono tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, il committente può chiedere la risoluzione del contratto”. Ricordando che l’azione giudiziale contro l’appaltatore si prescrive in due anni dal giorno della consegna si osserva che, a differenza del termine stabilito per la decadenza, quello della prescrizione può essere interrotto. Pertanto il diritto di agire contro l’impresa appaltatrice potrà essere mantenuto in vita, impedendo così la prescrizione, mediante un semplice accorgimento, ovvero mediante l’invio di una comunicazione avente data certa (preferibilmente lettera raccomandata con avviso di ricevimento) nella quale verranno ribadite tutte le contestazioni e le eccezioni già formulate nella denuncia originaria e con inserimento nella comunicazione stessa della clausola “la presente vale ad ogni effetto di legge ivi compreso quello interruttivo della prescrizione”.


AFFIDARSI ALLA DILIGENZA DELL’AMMINISTRATORE Il corretto rispetto dei termini di decadenza e prescrizione, senza il quale il condominio committente non potrà far valere i propri diritti contro l’appaltatore, investe la responsabilità dell’amministratore il quale, in virtù della diligenza professionale e in adempimento dei doveri che ineriscono al suo incarico, dovrà mantenere vivi i diritti del condominio affinché questo non debba sopportare danni o pregiudizi economici conseguenti ad un’opera eseguita male. Il primo onere che incombe sull’amministratore è quello di operare a stretto contatto con il Direttore Lavori nella fase di esecuzione dei lavori e, successivamente alla consegna degli stessi, verificare in collaborazione con i condomini l’esistenza o meno di difetti occulti e la loro entità. Dovrà poi, una volta accertati vizi e difformità, comunicare entro i termini descritti la denuncia all’appaltatore. In caso di rifiuto dell’impresa a porvi rimedio dovrà poi invitare l’assemblea dei condomini a prendere posizione prospettando l’ipotesi di agire in giudizio per tutelare i loro diritti in sede giudiziale. Qualora entro il termine di due anni dalla consegna dei lavori l’assemblea non avesse ancora deliberato di agire contro l’appaltatore sarà suo compito interrompere la prescrizione nei modi sopra indicati. Tutto sembra così facile e ovvio ma non sono infrequenti i casi in cui l’inerzia o imperizia dell’amministratore fa venir meno la possibilità del condominio di godere delle garanzie offerte dalla legge. Su questo punto però bisogna ricordare che il condominio non è del tutto sfornito di strumenti di tutela. Qualora i condomini avessero invitato l’amministratore a denunciare all’appaltatore vizi e difformità dell’opera oppure avessero deliberato di agire entro i termini prescrizionali contro l’impresa e questi avesse omesso di porre in essere tutti quei comportamenti testé richiamati atti a tutelare i loro diritti, sarà sempre possibile un’azione di responsabilità nei suoi confronti per richiedere il risarcimento dei danni in funzione del pregiudizio subito. Ricordiamo, infatti, che tra i doveri principali dell’amministratore vi è quello di compiere, ai sensi dell’art. 1130 del codice civile tutti gli “atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio”.

Dottor Massimo Botti - Studio Comite